All’iter espositivo consumato nel corso di una lunga attività pittorica, l’opera del novantenne Toni Fontanella approda, come le barche in primo piano del suo leitmotiv, a questa mostra antologica, che offre programmaticamente una panoramica ampia e rappresentativa della sua ricerca pittorica: dagli esordi alla maturità.

La mostra risponde altresì all’impegno di ripresentare al pubblico e ai collezionisti, una puntuale selezione di opere di uno degli artisti più significativi del nostro Territorio, ieri e oggi crogiolo di idee, di incontri, di fusioni, di confronti, sempre appropriati e solleciti a tenere vivo il rapporto con la città.
Artisti come lui, instancabili nel loro operare, costituiscono la gloria e la vera identità di Mestre, per avere trasmesso valori culturali, sociali, esistenziali da non trascurare e, tanto meno, da ignorare.
Il  suo percorso artistico, almeno  nelle fasi più rilevanti, si intreccia a quelli di Gigi Candiani, di Andreina Crepet Guazzo, di Aldo Bovo, di Mario Lucchesi, di Vittorio Felisati, di Cavaldoro, di Guer­rino Salvi, ecc., con stili diversi, attraversati da possibilità e da volontà avviate, riprese, considerate attentamente, sviluppate individualmente nell’attualità del proprio linguaggio.
L’acquisizione  espressiva, semplice e sottile, si è spiegata sulle coordinate della prospettiva tradizionale. L’incipit di ogni composizione è un richiamo reale, che l’esperienza rimette ogni volta in dialogo attraverso il tessuto pittorico, il flusso della pennellata, il segno e gli spessori più o meno materici, le intensità di colore, gli accordi e le luminosità.
Le Lagune, gli scorci dell’Estuario, le Vedute, le Nature morte, i Paesaggi, si finalizzano sui diversi punti di vista del fenomeno visivo, solamente a causa dell’emozione.
Nella rassegna, sono raggruppati di proposito i quadri con lo stesso soggetto, per periodo, per evidenziare una linea di continuità interpretativa. Cioè, il raccogliersi, il chiarirsi, il concentrarsi e l’approfondirsi di valori e di aspetti, e soprattutto, di quella luce progrediente dal fondo alla superficie, lungo i piani spaziali, negli accordi cromatici.
Gli elementi dell’assetto, nel loro insieme e nella loro distinzione (capanni, barche, cavane, etc) con i colori diffondono l’aria e i suoni dell’ambiente. Pretesti sempre nuovi nel gioco mutevole delle immagini: Spiaggia, Canale Lagunare, Barca abbandonata.
è, in ogni tempo, penso oggi ancora, riuscito a trasferire sulla tela un’inflessione inconfondibile, quasi con una lontana memoria manzoniana, agganciandola alla quotidianità, al coincidere e al riflettersi di una luce di distinta e staccata interezza di senso, in cui la cognizione, attenuando gli accidenti spazio-temporali, si fa più vera e significativa. Anche “Le rose sul prato” assume analoghe prerogative.
I riferimenti, li considero passaggi dall’uno all’altro specchio, in dimensione creativa, suggerita dall’esterno e subito ricondotta entro i margini del proprio registro.
Non ricordo quando ebbe luogo il mio incontro con la sua pittura. In una delle prime edizioni del Piccolo Premio Burano di Pittura, presieduta dal compianto Uccio Stefanutti. O in una di quelle collettive, che lo videro accanto a Dalla Zorza, Dinetto, Barbisan, Pizzinato, Saetti, Bergamini, Guidi, Disertori, Seibezzi, Springolo, Novati, Ce­liberti, Lucchesi, Costantini, Fulgenzi, Vedova e… mi fermo.
La carrellata di riproduzioni inserite nel testo rispecchia la valenza della sua produzione artistica e, nel contempo, le inquietudini e le ambizioni di un’epoca contraddistinta dal proliferare di ismi, che lo sfiorarono, lo tentarono, senza sopraffarlo. Si mantenne fedele alle componenti della pittura veneta dell’area veneziana, accordate ai fenomeni culturali più interessanti in una misura tutta sua, nata dalla cultura del post-impressionismo, dall’impronta coloristica particolare, dallo studio dei grandi maestri, con punti di originalità oltre ogni apparenza, nella trasformazione della visione atmosferica in trasparente immedesimazione della luce, che penetra e ravviva le cose, portate ad assonanze musicali. Le opere esposte facilitano la comprensione delle fasi espressive, in cui si mostrano i temi di una ricerca ininterrotta.
Il “ritratto di ragazza”, uno dei primi impegni, mette in evidenza il volto fatto  risaltare dall’ovale incorniciato dai cappelli bruni, mentre gli occhi e gli altri tratti ritraggono la praes-entia, l’interiorità precisata dall’esteriorità.
Le “nature morte” degli anni Trenta, dalle tinte pastose e plastiche, luminose e compatte, combinano l’orchestrazione volumetrica al senso realistico degli oggetti. Il repertorio è ripreso via via, con disposizioni diverse, per segnare la profondità di uno spazio luminoso, colmo di stranita ma­gia.
Le novità estreme lo spingono ad usare il colore per esprimere un’emozione: i Paesaggi intorno agli anni Cinquanta.
Oppure una realtà tipica dell’invenzione, nel periodo successivo, consumata poco dopo nelle qualità e nelle riserve di riverberi delle vedute lagunari, prospettate nelle soluzioni naturalistiche di vago influsso capesarino, soltanto sotto l’aspetto del riferimento ambientale,
A questo punto, un nuovo incanto poetico lo affascina: la barena. Barche, capanni, paline, reti, mare, orizzonti, spiagge lontane, silenzi, luci, at­mosfere, in veduta  di insieme, o a visuali ravvicinate, con verticali in rispondenza simmetrica, si graduano nello spazio dei valori cromatici. L’ar­monia del quadro risalta dal concerto di raccordi e di accostamenti, vibranti in ogni pennellata.
In mezzo, si notano alcune escursioni molto precedenti, geometriche, d’inquadratura frontale. Anche astratte, tuttavia tonali.
Negli anni Novanta, tra accensioni di tinte e la nostalgia del sentimento, la composizione si inserisce in un fondo classico ben meditato, dove  ogni tono e ogni rapporto si ammorbidiscono in mutevoli riflessi, come canti poetici.
Contemporaneamente crea immagini in strutture a scansione ritmo-cromatica, saldamente le­gate alla condizione di isolamento spaziale, impegnato a cogliere la sintesi delle cose, riportate a nuclei di realtà: Natura morta con tromba e cappello, natura morta con maschera e oc­chiali, la lampada sul tavolo, fiori sotto la finestra, la cassetta delle lettere… è un “A tu per tu” (il titolo di una personale di fine secolo) con la concretezza degli oggetti, in un rastremato realismo, capace di restituire con immediatezza il processo di identificazione del fatto estetico con la preminenza dell’immagine, quale motivo e documento dell’approccio al quotidiano, nell’essenzialità di forme, di colori, di spazi, dell’azione del mezzo visivo.
Fontanella dipinge l’ambiente e la natura, cercando una visione più intima, quella che rappresenta il reale scenario della nostra esistenza.
Il suo linguaggio, alla fin fine, esprime la sua filosofia di vita, tesa a ricevere, ciò che avviene fuori di noi e fa breccia in noi.
La Laguna, la nostra Laguna, nelle tele davanti ai nostri occhi, è un mondo ritrovato, un ambiente prezioso, intenso, quieto, che ammette (meglio ammetteva) esclusivamente il fruscio delle barche dei pescatori, lo sciabordio dell’acqua, il vento che agita il mare, porta o scaccia le nuvole. Che cambia le tinte dell’acqua e del cielo, il sole che li fa ardere come gemme: da un’ideazione lirica a una evocazione panica.
Elio Jodice, comune amico, ripete spesso: “Fontanella è l’ultimo cantore della Laguna”.