Per comprendere l’assoluto coloristico della pittura di Toni Fontanella è opportuno richiamare uno dei momenti topici della giornata, il mezzogiorno. Il mito e la tradizione popolare gli hanno assegnato un particolare significato magico-simbolico: è questa infatti l’ora in cui scompare la presenza umana affocata dal caldo e dominano creature sovrannaturali, percepibili solo nel silenzio della luce imperiosa.
“In quell’ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina buona” – come scrive Verga nella Lupa – anche i contadini, stanchi, interrompono il lavoro, magari per pregare come nell’Angelus, uno dei quadri più celebri di François Millet. C’è allora modo per i demoni meridiani di abitare il paesaggio, mentre le esistenze umane si fermano e si dissolvono. Mettersi ad osservare un quadro di Toni Fontanella è lasciarsi permeare da questo senso dell’assoluto che il meriggio mitico porta con sé, quando la natura, nel suo caso acquatica, domina, e le uniche creature che osano sfidare i demoni meridiani sono le piccole barche che, seppur abituate a solcare barene e canali, si sono arrese all’impero della natura e hanno trovato rifugio presso una riva o in una modesta cavana che si mimetizza fra le erbe acquatiche. Di fronte ad una così compiuta resa pittorica, che fa di Fontanella un artista inconfondibile, l’interrogativo è: quale il percorso e le influenze che lo hanno condotto a questi esiti? Per ritrovare le suggestioni che stanno alla base della sua personale e intensa pittura, è opportuno risalire agli anni Trenta del Novecento, che corrispondono al suo periodo di formazione, in cui ancora fermentavano le sollecitazioni delle avanguardie. Il nostro artista eredita dall’astrattismo l’idea di ridurre la raffigurazione a volumi cromatici, ma quello che sembra soprattutto averlo ispirato è l’atmosfera atemporale della pittura metafisica e le immagini sospese di Felice Casorati. Accanto a questi stimoli che sostanziano la scena artistica italiana e internazionale di quella stagione, c’è in ambito veneziano una singolare linea espressiva, sviluppatasi a partire dal magistero di Gino Rossi, che aveva scelto Burano quale luogo per nuove emozioni visive. E da Burano è germinata una tradizione che ha prodotto una sorta di scuola, che accomuna artisti, seppur diversi per carattere e forme, uniti dall’aver trovato nel colore la propria sostanza espressiva. Un colore non più giocato sui toni caldi e decisi della tradizione veneta, ma spostato verso tonalità diafane che rimandano all’altalenante superficie della barena e del cielo. Difficile dire se sia stato il contesto a influenzare la virata paesaggistica di Fontanella, riscontrabile in modo sempre più convinto a partire dagli anni Cinquanta, e che lo aveva portato a tralasciare soggetti umani e nature morte per immergersi nel vivo della laguna, o se proprio nella scuola di Burano egli abbia trovato lo slancio per una compiuta scelta di temi e atmosfere. L’esito certo è che quella koinè figurativa rende più consapevole la pittura di Fontanella, che a sua volta rende più solida la tradizione di Burano, divenuta poi nella terraferma veneziana il modus operandi maggiormente seguito ed apprezzato, di cui Gigi Candiani costituisce la sintesi poetica più nota. Se Candiani ama la luce del mattino, quando l’Aurora dalle rosee dita colora di glicine il cielo, Fontanella predilige l’assoluto del pieno del giorno, quando i colori si fondono in un’unica sostanza cromatica. Questa compattezza di luce e di visione viene ottenuta da Toni per mezzo di un preciso lavoro tecnico, che ne costituisce il tratto di forza e originalità. Egli infatti parte da una tela non bianca, ma strutturata da un fondo stratificato di colore a cui poi sovrappone il disegno immaginato, così che i soggetti raffigurati – barene, canali, barche, cavane, cestoni da pesca – si trovano immersi in una sorta di liquido amniotico coloristico, che rende il quadro più che una visione reale un archetipo esistenziale, un ritorno alle origini indistinte dell’uomo, quando ci si poneva davanti alla natura con stupore a guardare gli elementi dell’ambiente sentiti come divinità portatrici di mistero. Mettere l’acqua al centro della visione è infatti ritornare alla genesi stessa della vita, per interrogarsi sul senso dell’esistere. Fontanella ci offre un reale scarnificato, ridotto all’essenza della natura e proprio dalla sua ricerca selettiva emergere così la forza della vita, rispetto alla quale, come di fronte ai suoi quadri, rimaniamo in ammirato silenzio.